Autore: | Ignoto cartapestaio del XIX sec. (Antonio Maccagnani?) |
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Titolo: | San Biagio |
Comune: | AVETRANA (TA) |
Luogo: | Avetrana (TA), chiesa Matrice di San Giovanni Battista |
Diocesi: | Oria |
Datazione: | post 1857 |
Restauri: | 1906; 1981 |
Caratteristiche: | cartapesta policroma, 190x72x50 cm |
Iscrizioni: |
Notizie storico-artistiche
Non si ha ad oggi certezza né delle ragioni né delle origini del patronato di San Biagio sull’antico borgo di Vetrana, nome di Avetrana fino agli inizi del XIX secolo. È stato tuttavia ipotizzato che la devozione nei confronti del vescovo armeno sia da ricondurre alla storia bizantina di Terra d’Otranto e all’opera dei monaci Basiliani.
La testimonianza più remota del culto verso il santo è costituita da una piccola cappella a lui dedicata, oggi ridotta a un rudere, che venne costruita – secondo alcuni nei secoli XII-XIII, secondo altri agli inizi del XVI secolo – lungo l’antica strada che da Avetrana conduceva a Oria, in contrada ‘la Mena’, nei pressi di uno degli antichi casali della zona sorti in epoca messapica e poi abbandonati a seguito delle incursioni saracene, Santa Maria della Vetrana.
Le uniche notizie documentarie su questo luogo di culto, privo di oneri e benefici, si rintracciano nei verbali delle visite pastorali. Così nel 1595 Camillo Borghese, vescovo di Castro (LE), trovando la cappella in condizioni di estremo degrado e priva sia di altare che dell’immagine del santo, dispose che le reliquie ivi venerate fossero trasferite nella vicina chiesa di Santa Maria del Casale e che l’eventuale intervento dell’Università, qualora interessata al recupero dell’edificio, dovesse essere attuato entro un anno. Quest’ultima però anziché procedere alla sistemazione della cappella si impegnò piuttosto nel completamento della parrocchiale eretta all’interno dell’abitato, progressivamente cresciuto intanto intorno al castello fortificato, dove al santo vescovo sarebbe stato in seguito dedicato un altare.
Infatti monsignor Lucio Fornari nel 1603 trovò l’altare della cappella extra-moenia di San Biagio ancora in pessime condizioni e proibì la celebrazione della messa fin quando non gli fosse stato garantito il giusto decoro. Nella visita del 1647 il vescovo Marco Antonio Parisi confermò l’obbligo di celebrare nell’edificio – solo elencato nel 1638 tra le cappelle extraurbane – una messa nel giorno della ricorrenza del santo; mentre nel 1688 monsignor Carlo Cuzzolino registrava che «di detta cappella ha cura Antonio Rinaldi il quale la apre e la chiude. Essa è priva del necessario per la celebrazione liturgica». Infine nel 1706 monsignor Tommaso Maria Francia annotava che della cappella, costruita con le elemosine dei fedeli, si occupava il sacrestano dell’attigua chiesa di Santa Maria, il quale provvedeva a chiuderla al tramonto del sole e che vi si celebrava la messa per devozione dei fedeli, anche se l’occorrente per la liturgia veniva portato sempre dalla vicina chiesa (per quest’ultima visita, cfr. Leo-Santo-Scarciglia 1998, p. 168 doc. 18).
Nel 1721 monsignor Giovanni Battista Labanchi documentava per la prima volta che nella cappella il 3 febbraio di ogni anno, giorno della festa di San Biagio, «cum interventu Capituli, et Cleri dictae Terrae ex devotione ejusdem Capituli quod celebrat in ipsa die Missam cantatam, et primas vesperas» (Archivio Storico Diocesano di Oria [d’ora in poi ASDOr], Libro delle Sante Visite di Mons. Giovanni Battista Labanchi, 13 giugno 1721, in Pezzarossa 1987, pp. 43, 45). È del 1939 l’ultimo documento storico in cui l’edificio extraurbano dedicato a San Biagio è espressamente citato come cappella la quale, come anticipato, trovandosi a circa un miglio a nord del centro abitato, venne gradualmente abbandonata, al punto che, ridotta a un rudere, venne in seguito accatastata come semplice «fabbricato rurale» (sulla cappella extraurbana di San Biagio cfr. Pezzarossa 1987, pp. 81-83; Leo-Santo-Scarciglia 1998, p. 73; Fumarola-Musardo Talò 1999, pp. 58-59; Il culto di San Biagio in Avetrana).
Come infatti poc’anzi anticipato, intorno al 1766 nella parrocchiale del centro abitato, all’epoca della sistemazione completa delle due navate laterali, a San Biagio venne dedicato il quarto altare della navata destra, presso la porta laterale, in precedenza intitolato all’Immacolata Concezione (come attestato dalla relazione dell’arciprete don Valerio Eugenio Briganti del 1747; cfr. ASDOr, Censimento della diocesi di Oria, Avetrana, p. 2, in Pezzarossa 1987, p. 45).
Una datazione dedotta da don Battista Pezzarossa sulla base delle notizie contenute nelle visite pastorali relative agli altari e al culto in Avetrana verso San Biagio e Sant’Antonio da Padova, compatrono del paese. Così se nel 1684 monsignor Carlo Cuzzolino registrando l’altare di Sant’Antonio lo diceva ben ornato come «si conviene al Santo Patrono di detta Terra», nel 1747 nella citata relazione dell’arciprete Briganti il santo di Padova era definito ancora «protettore della Terra della Vetrana» e così nella visita del 1760, quando mons. Francesco Antonio De Los Reyes ribadiva che egli era il protettore di «questa Terra». Lo stesso vescovo De Los Reyes nel 1766 registrava però per la prima volta l’altare della parrocchiale lungo la navata destra dedicato a San Biagio, corredato da un dipinto su tela sul cui dossale compariva la significativa iscrizione «Protector tuus ego sum». Nel 1774 però il vescovo Enrico Celaja distingueva ancora Sant’Antonio, «protettore principale» di Vetrana, da San Biagio «protettore principale minore»; laddove nel 1784 monsignor Alessandro Maria Kalefati, visitando l’altare di San Biagio, annotava: «protettore principale colla sua immagine in tela con tale rito ab immemorabili adorato dal popolo e solennizzato dal capitolo come quello che era il protettore dell’Antico Paese, nominato S. Maria, nome che poi passò e si unì al nuovo paese dove fu trasferita l’antica chiesa di S. Maria, e quindi al nuovo paese che fu chiamato Vetrana».
Dal che Pezzarossa ha ipotizzato che San Biagio era l’unico, originario protettore del borgo ma che, a seguito della costruzione della nuova chiesa (edificata nelle forme attuali tra la seconda metà del XVI sec. e la seconda metà del XVIII), la Confraternita di Sant’Antonio, fondata nel XVI secolo, impose il culto verso il proprio santo; documentato anche dal fatto che nei registri parrocchiali più antichi dei battesimi, quelli di fine Cinquecento e del secolo successivo, il nome di Biagio è decisamente meno frequente rispetto a quello di Antonio. E ciò finché non fu eretto in parrocchiale, tra il 1760 e il 1766, l’altare dedicato all’antico protettore; evento in seguito al quale i due santi furono riconosciuti compatroni, dopo di che, scomparsa la confraternita di Sant’Antonio sul finire del XVIII secolo, San Biagio non riuscì a riprendersi un primato che perdura tuttora (vedi Pezzarossa 1987, p. 43 nota 45; Fumarola-Musardo Talò 1999, p. 59; Pezzarossa 2008, p. 23; Il culto di San Biagio in Avetrana).
Un patronato la cui origine, secondo quanto si è supposto, dovrebbe essere legata principalmente alle virtù taumaturgiche di San Biagio, riferite non solo alla salute dell’uomo ma anche al benessere del bestiame e al buon andamento dell’agricoltura e dei raccolti, cardini di una civiltà agricola come era ed è tuttora quella di Avetrana, ma anche al fatto che il santo vescovo fosse protettore delle acque e dei pozzi. Difatti nei secoli scorsi frequenti sono stati in questa area calamità naturali come lunghi periodi di siccità, nubifragi, invasioni di cavallette e terremoti, tra cui quello famoso del 1743 che danneggiò la chiesa Matrice e il Torrione di Avetrana; episodio al quale può essere anzi connessa la ripresa d’intensità del culto verso san Biagio, quindi la successiva erezione del suo altare in parrocchiale.
D’altronde anche nella fase di ‘condivisione’ del patronato sul borgo, il culto verso il santo vescovo, documentato nel 1721 dalla messa solenne nella cappella extra-moenia di cui è detto, fu accresciuto da nuovi riti devozionali, come ad esempio quello, introdotto sempre nel Settecento e frequente in altri luoghi, della benedizione delle candele a forma di croce e della loro imposizione protettiva sul collo dei fedeli (San Biagio, per il miracolo del fanciullo liberato da un osso di pesce che aveva ingoiato, è il protettore di tutti i mal di gola). Rito che si celebra tuttora nella Matrice il giorno della festa del santo, il 3 febbraio, quando in passato negli angoli delle strade di Avetrana erano accesi anche dei falò, tradizione in seguito scomparsa e da cui deriva l’epiteto dialettale di ‘San Biaggiu ti lu fuecu’.
Nel XIX secolo, inoltre, sempre la cappella ‘rurale’ del santo divenne la meta finale di una processione che si svolgeva sia il 3 febbraio che nel giorno della festa patronale e che vedeva un grande concorso di popolo. Partendo dalla chiesa parrocchiale intorno alle 11, il corteo attraversava le principali vie del paese e si concludeva appunto nel vecchio edificio sacro, dove il capitolo celebrava la liturgia solenne. Mentre nella stessa epoca in ogni casa di Avetrana si custodiva un’immagine del patrono, oggetto di tridui e invocazioni popolari, davanti alla quale ardeva una lampada ad olio che sembrava avesse poteri miracolosi; quando infatti qualcuno della famiglia soffriva di tosse, laringiti e faringiti, la donna più anziana ungeva la gola del malato con le dita intinte «cù l’oiu santu ti la lampa» considerato miracoloso.
Si è detto che, oltre alla festa liturgica del 3 febbraio, ad Avetrana venne istituita dall’Università, forse sempre nel XVIII secolo, una festa patronale in onore di San Biagio, che ai i tempi della visita di monsignor Kalefati (1784) cadeva i giorni del 7 e 8 settembre; festa che, secondo quanto registrato nel Catasto Onciario del 1751, veniva organizzata non grazie alle offerte dei fedeli, come accade oggi, ma tramite una vera e propria tassazione (50 ducati annui) a cui erano sottoposti tutti i cittadini e che incideva nella misura del quasi 4% sulle entrate dell’Università.
Le successive variazioni di data della festa civile sono attestate da una serie di documenti relativi alla fiera che, in epoca imprecisata, fu istituita in onore del Santo in coincidenza coi festeggiamenti patronali. Il regio Decreto n. 2015 di Ferdinando I di Borbone del 15 agosto 1819 – cui fece seguito la comunicazione inviata il 2 giugno 1820 dal sottointendente del Distretto di Taranto al sindaco di Avetrana – autorizzava infatti il Comune di Avetrana a «ripristinare la fiera che celebravasi ne’ giorni sette ed otto settembre di ciascun anno», non specificando però se l’evento si tenesse in onore di Sant’Antonio o di San Biagio (quest’ultima è l’ipotesi di Fumarola-Musardo Talò 1999, p. 59, difatti sottoscrivibile se si tiene conto di quanto precisato nella visita di monsignor Kalefati).
Certo è che con il successivo Decreto Reale n. 1423 del 22 agosto 1863 il Comune venne autorizzato a tenere una fiera annuale di animali «nei giorni 4 e 5 maggio in occasione della festa del Patrono S. Biagio», ricordata anche dallo storico salentino Giacomo Arditi (1815-91): «Avetrana tiene una fiera di bestiami ed altro il 4 e 5 maggio di ogni anno» (G. Arditi, La corografia fisica e storica della provincia di Terra d’Otranto, Lecce 1879, p. 57).
Con due successive deliberazioni consiliari, del 12/05/1879 e del 17/05/1880, la fiera venne nuovamente spostata rispettivamente nei giorni 22 e 23 aprile e 21 e 22 aprile. Infine, con un’altra delibera del 15 marzo 1913, poiché le date stabilite erano venute progressivamente a cadere a ridosso di quelle in cui si tenevano altre fiere più importanti (Francavilla Fontana, 24-25 aprile; Taranto, 26-27 aprile), ma anche per permettere ai negozianti di trasferirsi a Copertino dove la fiera si teneva i giorni 30 aprile e 1 maggio, il Consiglio comunale decise di fissare la data della fiera di San Biagio «in modo permanente nei giorni 28 e 29 aprile di ciascun anno» (Archivio Storico Comune di Avetrana [d’ora in poi ASCAv], Deliberazioni del Consiglio Comunale 1905-14, n. 1 del 15-3-1913, in Pezzarossa 1987, p. 82 nota 12).
Fiera che fino agli anni Trenta del secolo scorso venne allestita in Largo Pastani, poi nella zona detta ‘Palummaru’, infine in piazza del Popolo (oggi piazza Vittorio Veneto); mentre l’«Annuario Jonico» del 1935 registrava l’esistenza in Avetrana di due fiere: «fiera di S. Biagio (bestiame bovino e ovino) nei giorni 28-29 aprile; fiera di S. Antonio nei giorni 4-5 settembre», così come riportava due feste «S. Biagio (protettore) 28-29 aprile e S. Antonio 4-5 settembre». Dopo vari anni di assenza il Consiglio Comunale nel 1987 deliberò lo stabile e definitivo ripristino della fiera di San Biagio, la quale attualmente inizia qualche giorno prima della festa patronale, svolgendosi dal 25 al 28 aprile (per la fiera cfr. Leo-Santo-Scarciglia 1998, pp. 77, 78-80 figg.; Fumarola-Musardo Talò 1999, p. 59; Il culto di San Biagio in Avetrana).
Sempre nell’Ottocento, e in particolare dalla seconda metà del secolo, l’organizzazione della festa fu gradualmente affidata a un Comitato Festa Patronale che si avvaleva comunque del sempre presente contributo economico del Comune. Come infatti è attestato da un documento del 1923, l’Amministrazione Comunale, oltre a provvedere al necessario per la celebrazione della festa patronale di San Biagio, gestita da un apposito Comitato (che usufruiva anche delle elemosine dei fedeli), si occupava del decoro dell’altare della Matrice e di conservare gli oggetti di valore donati al santo, tra cui «una chiave di argento, una corniola montata in oro, una croce di vescovo d’argento […] un crocifisso di argento» (ASCAv, Grazia, Giustizia e Culto, 1823-1941, Processioni religiose, cat. VII, cl. VI, fasc. 3, doc. del 19 marzo 1923, riportato in Pezzarossa 1987, p. 82 nota 11; Fumarola-Musardo Talò 1999, p. 59).
Ancora oggi la festa patronale di Avetrana si tiene nei giorni del 28 e del 29 aprile ed è caratterizzata dalle tipiche luminarie per le strade principali, dai concerti bandistici e dai fuochi pirotecnici. Precede la festa, il giorno della vigilia, la processione solenne del simulacro del santo, significativamente accompagnato da quello di buona fattura, sempre in cartapesta e forse ottocentesco, del compatrono Sant’Antonio da Padova – a cui la comunità avetranese dedica esclusivi festeggiamenti il 13 giugno (cfr. ICCD, scheda OA I-16/00173377, ambito Italia meridionale, prima metà XX sec., 1900-49 ca., cm 165x80x55, C. Losurdo 1998) – e da una reliquia di San Biagio venerata quale «ex gutture Sancti Blasii», cioè come frammento della gola del santo.
La statua processionale di San Biagio venne commissionata dopo il 1857, su richiesta del popolo e proprio grazie all’intercessione dell’amministrazione comunale, la quale, come si è visto, tra le altre cose si prendeva cura dell’altare della Matrice dedicato al santo, al quale l’opera era destinata e di cui il Comune deteneva il patronato. Il 17 agosto 1857 il sindaco Luigi Conti si fece infatti portavoce dell’iniziativa davanti al Decurionato, sostenendo che «l’intera popolazione con calde rimostranze ha dimostrato di voler fare la statua del Protettore di questo Comune San Biaggio, ed a tale oggetto ha insistito perché si formassero delle sottoscrizioni volontarie per così formare un cespite proporzionato per tale pietoso oggetto». Il ricavato di tali sottoscrizioni non aveva raggiunto però l’ammontare del costo della statua «comunque vi avesse concorso e il capitolo, ed insieme tutti i proprietari, attesa la picciolezza di questo luogo; così per supplimentare la resta necessaria» il sindaco sottopose alla deliberazione comunale un cespite. Si trattava di un introito ricavabile da un contratto di affitto, siglato l’anno prima, relativo alla «Difesa Chiepo e Casanova», il quale al punto numero 10 contemplava la clausola che, se l’affittuario non avesse provveduto a seminare la Difesa, «il Letame degli animali introdotti a pascolo dovesse cedere a beneficio del Comune». Dal momento che l’affittuario non aveva seminato il terreno né quell’anno né l’anno precedente, «il letame che vi è rimasto nelle Corti è di conto del Comune» ed avendo il sindaco ricevuto un’offerta di vendita del ‘prodotto’ pari a otto ducati, egli chiedeva al Decurionato di aggiungere tale ricavato alle «obblazioni volontarie, onde così formarsi la cennata Statua». Il Decurionato approvava all’unanimità tale proposta «che sembra espediente che il Comune concorra a questa pia opera del proprio Paese per secondare la pietà di questo pubblico, tanto più che la Cappella di questo protettore sta nella chiesa Matrice di patronato del Comune medesimo» deliberando che si aprisse una gara amministrativa per la vendita del letame da cui si auspicava di ricavare la somma di 12 ducati (ASCAv, Registro delle deliberazioni decurionali, delibera del 17 agosto 1857, in Leo-Santo-Scarciglia 1998, pp. 195-196 doc. 16).
È verosimile che la gara portò poco dopo i frutti sperati, permettendo la realizzazione e la collocazione sull’altare di San Biagio di un pregevole simulacro in cartapesta – impropriamente citato come una «statua in gesso» da Pezzarossa 1987, pp. 51 fig., 53 –, restaurato una prima volta nel 1906, poi, insieme alla basetta, nel 1981 e tuttora conservato nello stesso sacello. L’ottima conduzione plastica, soprattutto nelle pieghe cartacee degli abiti, l’elegante postura del corpo, i raffinati decori fitomorfici della mitra, del piviale e della stola, la realistica e maestrevole pittura che simula un ricamo con croci greche sull’orlo del camice, il volto severo ed espressivo, leggermente scavato e incorniciato da ciocche ricciolute di capelli e barba, attentamente definite come le rughe d’espressione, permettono infatti di ascrivere a una qualificata bottega leccese della metà del XIX secolo l’opera (non a caso definita una «bella statua di scuola napoletana» in Fumarola-Musardo Talò 1999, p. 59, indice, come il precedente riferimento, dello stato degli studi e dei modelli di confronto che contraddistinguevano la disciplina fino a non molti decenni fa). Bottega – a cui potrebbero essere ascritti anche i quattro teneri putti seduti agli angoli della base processionale tardobarocca – da identificare forse con quella di Antonio Maccagnani (1808-92), la quale primeggiò a Lecce e in tutta la Puglia dalla metà e fino alla fine del XIX secolo, o con qualcun altro laboratorio artigianale che da quella trasse modelli, ispirazione o ‘segreti’.
Bibliografia
- B. Pezzarossa, Chiese e cappelle in Avetrana, Oria 1987.
- Santi. Il regno dei cieli raccontato dalla terra, a cura di A. Maglio, supplemento a «Il Quotidiano», 1991, vol. I, pp. 27-28. B. Leo-P. Santo-P. Scarciglia Avetrana: storia e territorio, Lecce 1998.
- V. Fumarola-V. Musardo Talò, I santi patroni di Taranto e provincia: giubileo A.D. 2000, presentazione di C.D. Fonseca, Lecce 1999, pp. 57-59.
- P. Sgobio, I santi patroni della provincia ionica, Manduria 2000, pp. 17-19.
- B. Pezzarossa, La religiosità mariana in Avetrana, in La via di Maria: fede arte storia. Percorsi mariani nella Diocesi di Oria, a cura di A.M. de Los Reyes, Manduria 2008, pp. 17-58.
- Il culto di San Biagio in Avetrana, opuscolo dell’Archeoclub d’Italia-sede di Avetrana, s.l., s.d., pp. n.n.
- Avetrana. Guida turistica, a cura dell’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Avetrana, in collaborazione con l’Associazione ‘Terra della Vetrana’, s.l., 2019, pp. n.n.
- ICCD, cheda OA I-16/00173380, ambito Italia meridionale, primo quarto XX sec. (1900-24 ca.), C. Losurdo 1998.