Autore: | Antonio Maccagnani |
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Titolo: | I santi Alfio, Filadelfio e Cirino martiri |
Comune: | POGGIARDO (LE) |
Luogo: | Vaste (fraz. di Poggiardo; LE), parrocchia Maria SS.ma delle Grazie |
Diocesi: | Otranto |
Datazione: | Settimo-ottavo decennio del XIX sec. |
Restauri: | 1991, 2016, 2018 |
Caratteristiche: | Cartapesta e terracotta policrome; 180×220 cm ca. |
Iscrizioni: |
Notizie storico-artistiche
Secondo monsignor don Salvatore Rausa (1917-2003) il culto a Vaste verso i santi Alfio, Filadelfio e Cirino ha avuto origine agli inizi del XVIII secolo, sotto il lungo parrocato di don Angelo Ronzi (1710-59), epoca in cui si diffuse la notizia – persasi a seguito delle invasioni e distruzioni subite dal centro salentino, di remota origine messapica, durante il Medioevo – che i tre martiri cristiani erano nati a Basta, antico nome di Vaste. Lo attesterebbe la sempre più frequente presenza nei registri parrocchiali, a partire dal 1711, di almeno uno dei nomi dei tre santi negli elenchi dei battezzati. Nel 1736 inoltre fu donato a Vaste, sempre grazie all’interessamento del parroco citato, un reliquiario con dei frammenti dei teschi dei tre martiri autenticato da Padre Epifanio Stavischi, abate generale dell’ordine basiliano (a questo si aggiunse nel 1948 un’altra reliquia dei santi martiri con autentica del vescovo di Siracusa). Finché nel 1745 tutto il popolo, il clero, l’Università e il feudatario di Vaste non inviarono un’istanza, approvata dal vescovo di Castro (LE), alla Sacra Congregazione dei Riti perché la Santa Sede approvasse la loro unanime volontà di eleggere i santi Alfio, Filadelfio e Cirino patroni principali del borgo. Il decreto, accolto con grande entusiasmo dal popolo, fu ratificato il 3 settembre 1746 e il 16 ottobre successivo venne trascritto e pubblicato con atto del notaio Stefano Fallo. Atto col quale si istituiva inoltre l’obbligo di celebrare ogni anno il 10 maggio «la feste solenne […] con vigilia, diggiuno, messa cantata ed ufficio proprio, e con altre dimostrazioni di divozione […] Soggiunsero in onore delli medesimi SS. Protettori oggi averne celebrato la festa solenne con messa cantata, vespere, sparo di mascoli e suoni di tamburo, ed ora ancora asseriscono accingersi alla processione per tutta la Terra delle reliquie di detti Santi». Processione, effettivamente svoltasi come attestava il notaio, durante la quale le Sante Reliquie furono esposte e venerate dal popolo «davanti lo proprio altare delli suddetti SS. Martiri» (vedi Rausa 2001, pp. 190-195; ivi, alle pp. 193-195 è trascritto l’intero atto del notato Fello).
Il documento notarile attesta quindi che nei primi tempi, e forse per più di un secolo, a Vaste la festa solenne in onore dei patroni e la relativa processione non si avvalsero di alcun simulacro, bastando allo scopo le reliquie citate, probabilmente riposte durante l’anno sull’altare maggiore intitolato ai tre santi martiri della vecchia parrocchiale, eretta agli inizi del XVI secolo e dedicata a Santa Maria delle Grazie (Rausa 2001, pp. 192, 292, in una prima circostanza riporta che l’altare maggiore della chiesa – quello della titolare era uno dei laterali a sinistra – fu dedicato ai tre fratelli santi nel 1740, in seconda battuta che tale intitolazione si ebbe solo dopo la loro proclamazione a patroni del borgo e di certo come tale menzionato nelle visite pastorali del 1752 e 1753). Chiesa che venne riedificata nel 1761 per interessamento del barone Ippazio De Marco e il cui altare maggiore venne sempre dedicato ai santi Alfio, Filadelfio e Cirino, come documentato dalla visita del 1835 del vescovo di Otranto monsignor Vincenzo Andrea Grande (1834-71), il quale però annotava anche che dei tre martiri vi era solo un’immagine su tela collocata nella parte superiore del coro – probabilmente «la settecentesca tela del martirio di Alfio, Filadelfio e Cirino» registrata nel 1904 dall’arciprete Corvaglia – laddove nel 1841 nella nuova parrocchiale venne eretto un altare, il primo a destra dopo l’ingresso, destinato a contenere le reliquie dei Santi Patroni (cfr. Rausa 2001, pp. 293, 295, 297, 307, con rinvio alle fonti archivistiche, e infra).
Solo, infatti, ai tempi del parroco don Giuseppe Carluccio (1860-75), come documentato sempre da monsignor Rausa, venne intronizzato nella chiesa Matrice il gruppo statuario in cartapesta dei Santi Martiri. Gli stessi anni in cui fu inscenata per la prima volta, precisamente il 30 e 31 luglio 1864, la tragedia in tre atti Vita e martirio dei SS. Alfio, Filadelfo e Cirino fratelli e lor compagni e d’altri Santi della citta’ di Lentini composta dal padre gesuita Filadelfio Mauro, nato a Lentini nel 1644, e pubblicata a Catania nel 1691, ulteriore segnale dell’intensificazione del culto verso i santi patroni promossa dal parroco Carluccio (vedi Rausa 2001, pp. 195, 199-201 figg. 36-40; ivi specifiche notizie e foto sulle rappresentazioni della tragedia del Mauro, replicata più volte, degli anni 1945, 1977 e 1991).
E fu proprio un successivo parroco, don Carmine Corvaglia, in una relazione manoscritta del 1904, a precisare chi fosse l’autore della statua cartacea dei santi patroni; nell’elenco delle statue in dotazione della parrocchiale vastese, egli infatti citò il «gruppo dei Ss. Martiri al naturale, opera ottocentesca in cartapesta del celebre Maccagnani di Lecce» (Archivio parrocchiale Vaste [d’ora in poi APV], C. Corvaglia, Stato della Chiesa parrocchiale nel 1904, in Rausa 2001, p. 295). Mentre da alcune memorie dello stesso sacerdote si apprende che la base lignea dell’opera fu rifatta e dipinta nel 1914, e che nel 1921 le tre statue furono dotate di nuove corone d’argento da trecento grammi ciascuna lavorate dall’orafo Giambattista Mazzotta al costo di lire 630 raccolte grazie alle offerte del popolo (cfr. APV, Registro dei battezzati 1900-25, Ricordi di don Carmine Corvaglia,in Rausa 2001, p. 304; ivi il gruppo è illustrato alle pp. 191 fig. 33, 305 fig. 72).
Si tratta del gruppo statuario che ancora oggi viene condotto in processione per le vie di Vaste il 10 maggio di ogni anno, giorno in cui la Chiesa cattolica e quella ortodossa celebrano i fratelli Alfio, Filadelfo e Cirino (Vaste, III secolo-Lentini, SR, 10 maggio 253), figli del principe Vitale (o Vitalio) e di Benedetta di Locuste (due patrizi di fede cristiana), uccisi durante l’epoca delle persecuzioni ordinate dall’imperatore Decio e dal 1746, come si è visto, solennizzato nel borgo salentino da una grandiosa festa in onore dei Santi patroni. Festa patronale, che solitamente si estende anche al giorno successivo, caratterizzata, oltre che dalle celebrazioni liturgiche, dal panegirico del parroco e dalla citata processione, anche dalle tipiche luminarie distribuite in piazza Dante e nelle vie principali del paese, da concerti bandistici e conclusivi spettacoli pirotecnici.
Bisogna però precisare che nel corso della processione il gruppo statuario qui schedato è affiancato e ‘completato’ da due busti raffiguranti i genitori dei tre martiri, Benedetta di Locuste, che per prima, dopo aver dichiarato pubblicamente la sua fede e denunciato le ingiustizie perpetrate nei confronti dei cristiani, affrontò il martirio, il cui raffinato simulacro sempre in cartapesta è stato realizzato solo nel 2004 dal cartapestaio di Surano (LE) Antonio Papa (1964; vedi SCHEDA) e San Vitalio, prefetto della città romana di Basta, il cui busto ligneo, che reca sul bordo inferiore della base un’iscrizione col nome del committente, «CIRINU MAURO PRO SUA DEVOTIONE FECIT», venne citato nel 1904 nella relazione di don Carmine Corvaglia – «S. Vitalio, mezzo busto in legno» (APV, C. Corvaglia, Stato della Chiesa, cit., in Rausa 2001, p. 295; menzionato anche a p. 307) – ed è genericamente considerato un prodotto di scuola napoletana della metà del XIX secolo.
L’imponente simulacro dei Santi Alfio, Filadelfio e Cirino, conservato in una grande vetrina al centro della parete presbiteriale della chiesa Matrice vastese, può essere invece facilmente ricondotto, sulla base della registrazione documentaria del 1904 confermata dall’analisi stilistica, al celebre cartapestaio leccese Antonio Maccagnani (1809-92) e non al nipote Eugenio (1852-1930), come impropriamente riferito da monsignor Rausa («opera […] del rinomato scultore leccese Eugenio Maccagnani»: Rausa 2001, p. 195; ivi, però, a p. 304: «pregevolissima opera ottocentesca del celebre cartapestatio Maccagnani di Lecce»).
I tre fratelli, allineati su tre avvallamenti rocciosi che fungono quasi da podio, colti in pose e gesti classici, da oratoria sacra, nelle loro morbide fattezze giovanili e nelle loro folte e lunghe capigliature ricce ben definite – come tali ricordate anche dalle fonti agiografiche, dalle quali si ricava inoltre che essi potevano contare più o meno vent’anni all’epoca del martirio (sulla biografia dei tre martiri vedi in sintesi Rausa 2001, pp. 177-190) – rimandano inequivocabilmente alle figure più note e tipiche del Maccagnani senior. Il San Cirino a destra, dall’espressione estatica, può essere ad esempio accostato, solo per suggerire uno dei tanti possibili confronti, al famoso e pressoché coevo Sant’Eligio dello statuario destinato all’omonima chiesa leccese e ora in San Lazzaro (1860 ca.; vedilo riprodotto in A. Foscarini, Arte e artisti di Terra d’Otranto tra medioevo ed età moderna, ante 1936; ed. cons. a cura di P.A. Vetrugno, Lecce 2000, p. 144 fig. 220).
Distinguono e permettono di individuare i tre santi, i quali tengono tutti in mano la palma del martirio anch’essa in cartapesta, i rispettivi simboli iconografici rinvianti al martirio subito: la graticola su cui fu arso vivo Filadelfio, la lingua strappata ad Alfio, stretta nella tenaglia impugnata dall’angioletto in basso che pare guardarla divertito, la pentola di olio bollente in cui fu immerso Cirino. Ben costruite, seguendo lo standard produttivo della bottega che realizzò l’opera, sono infine le pieghe degli abiti indossati dai tre santi, caratterizzati da colori variati e ben calibrati e impreziositi da orli e colletti dorati e da decori con arabeschi e fiori, tracciati con la tradizionale tecnica dello spolvero, i quali permettono di inquadrare la tipologia decorativa della statua nella categoria denominata ‘ricchissima’ (cfr. S.P. Polito, La cartapesta sacra a Manduria (secc. XVIII-XX), Manduria 2002, p. 50).
Statua che, avendo subito nel corso del tempo alcuni interventi di rimaneggiamento che avevano coperto la superficie plastica di vistose ridipinture, nel 1991 ha subito un importante restauro, seguito da almeno altri due recenti interventi nel 2016 e ancora nel 2018; in quest’ultimo caso a causa di alcune infiltrazioni d’acqua dal tetto della Matrice che nel novembre 2017, a seguito di alcune forti piogge, interessarono purtroppo lo stipo in cui è conservato il gruppo, danneggiando principalmente la figura di Sant’Alfio posta al centro.
Bibliografia
- R. d’Otranto, Le umili origini di un’Arte Gloriosa, in «The Italian Review-Apulia», II, 8, 1928, p. 25 fig. 2.
- S. Rausa, Vaste in età moderna, Lecce 2001.